societa

L'arte dei Drosi, i 'santari' di Calabria 

Domenico Marcella Dandelions Memories
Pubblicato il 15-10-2020

A Satriano, piccolo centro in provincia di Catanzaro, vivono i padri-creatori di un sovrannumero di sculture lignee

Visi che sfumano tra l’estasi e la beatitudine. Non c’è sorriso accennato che non racchiuda un mondo. È un manifesto, l’espressione. Pacifica è quella dei sacri manufatti creati dai Drosi, i “santari” di Satriano – piccolo centro in provincia di Catanzaro – padri-creatori di un sovrannumero di sculture lignee: alcune solide e imponenti come colonne; altre minute e leggere, quasi svolazzanti. Una storia iniziata intorno alla fine del 1800, dall’intrepido talento di Nicola; trasmessa dapprima al figlio Pietro e successivamente al nipote Michelangelo. Ambasciatori per tre generazioni di un’eccelsa tradizione artistica della quale furono abilissimi maestri, esigenti, tanto da non tollerare alcun minimo difetto, i Drosi scolpirono per popolare tutte le chiese del territorio calabrese – e in alcuni casi anche negli Stati Uniti – statue dalle espressioni differenti dai canonici ritratti dei mistici che si deturpavano nella sofferenza del castigo e della penitenza.

La loro creatività, infatti, era ben alimentata da una sana e mai blasfema irriverenza, che li consacrò maestri liberi di rigettare i severi dettami della tradizione iconografica cattolica, per introdurre stilemi assai cari a Caravaggio. Preferivano trarre ispirazione dai popolani ingenui, dalle facce spontanee e pulite di coloro che subivano il fascino puro e discreto della borghesia divina, per scolpire i connotati dei loro santi. Orgogliosi come i pittori del Cinquecento, che volevano far vedere a tutti quanto erano fuoriclasse con pittura e pennello, i tre scultori – ribadendo in ogni opera la loro abilità di artisti e non di semplici intagliatori – scelsero di nobilitare, a colpi di scalpello, il legno: il materiale più facilmente reperibile, e – dettaglio non trascurabile – non impossibile da trasportare a spalla in processione.

Nascono proprio dal legno le monumentali statue dei medici Cosma e Damiano, venerati a Riace (Reggio Calabria); così come la “Madonna della Luce” di Palermiti (Catanzaro), unica nel suo genere poiché rarissimo – se non unico – acròlito dei Drosi, abbigliato con panneggi pregiati e monili preziosi di foggia barocca. Manufatti che suscitano ancora – a distanza di anni – un sentimento di dolcezza e pacificazione, di stupore e meraviglia. Una storia di arte e bellezza, che come un magnificat mariano si rinnova di generazione in generazione per trovare un posto d’onore nella memoria collettiva. Scrigno-custode della breve ma intensa epopea di famiglia è Maria Drosi, esperta dell’arte dei nonni: «Dal lavoro di ricerca che conduco instancabilmente da anni, continuano a emergere categorie di culto e costumi di società, famiglie e luoghi. Ho scoperto tracce, informazioni, strumenti e tecniche di lavoro. Ho rintracciato commesse, ho letto contratti, e mi sono emozionata nello scorrere la loro corrispondenza epistolare. Ho comparato bozzetti e statue, sono andata per chiese e, talvolta, anche per case, perdendomi in polverosi archivi. Ho raccolto aneddoti e testimonianze per ricomporre per elaborare un catalogo. Sempre aperto. Mai concluso». 

 

Maria, lei ha un bagaglio pieno di ricordi che carezzano l'anima. 

«Sì, è vero, le carezze sono tantissime. Spesso, però, ripenso alla bottega in cui nonni vissero le loro lunghe giornate di lavoro. Un luogo semplice, oggettivamente complicato, dove il suono degli scalpelli e degli altri attrezzi di lavoro si sovrapponeva allo scoppiettìo del braciere, acceso quando bisognava sciogliere i frammenti di vetro per creare gli occhi delle statue. Ripenso ai profumi del legno e degli oli, dei collanti e delle polveri colorate, che loro stessi inventavano per dare le giuste sfumature agli incarnati, ai panneggi, e a ogni altro elemento compositivo». 

Per ovvie ragioni anagrafiche, lei ha vissuto maggiormente la  fase di Michelangelo. 

«Sì. Mio nonno Michelangelo – l’ultimo dei tre scultori – amava ripetere che non costruiva immagini di statue, ma costruiva anime. Ho compreso più tardi quanto ciò fosse vero. Le opere dei Drosi, prima di tutto, erano sculture d’anima. Giusto per citarne alcune, penso alla statua di San Francesco di Assisi custodita a Cerrisi di Decollatura, in provincia di Cosenza, o al gruppo scultoreo “La Pietà”presente a Riace. Le opere dei Drosi hanno uno spirito che traspare. E le parole di mio nonno Michelangelo risuonano potenti, ogni volta che mi trovo davanti a una loro opera». 

Quella dei suoi nonni è un’arte che mai cadrà nel dimenticatoio. 

«È vero. Il tempo ha trasferito la loro arte all’attenzione della critica e della stampa, e l’ha fatta approdare anche nelle aule delle Accademie, attraverso tesi di laurea a loro dedicate. La dinastia degli scultori Drosi ha attraversato tre stagioni creative che hanno raccontato la bellezza eterna, pur percorrendo il cammino della storia umana. I miei nonni non ci sono più, purtroppo. Muoiono gli artisti, ma non l’arte; perché questa è eterna come il racconto che si tramanda e come il tempo che in eterno scorre». 

 

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